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Gazzetta del Sud

04/05/2003

La Vallata di S. Leone a Rometta

Tradizioni Il pellegrinaggio della prima domenica di maggio

Alfonso Saya

ROMETTA – «Son cari i tuoi ricordi, o dolce valle/ cinta di monti arcigni che all'azzurro/spingon loro vette ardite, ove il sussurro/ della vita non s'ode». Così è cantata la vallata S. Leone di Rometta, dall'illustre concittadino mons. Antonino Barbaro. La vallata è chiamata così perché la tradizione vuole che si sia rifugiato San Leone, vescovo di Catania tra il 720 ed il 780, condannato all'esilio dal feroce iconoclasta Costantino V il Copronimo perché difese la fede cristiana. Prima di partire per l'esilio (scelse come meta Rometta) riunì fedeli catanesi nella Chiesa di S.Agata e li esortò a resistere all'eresia iconoclasta ed alle arti diaboliche del mago Eliodoro. Il suo primo rifugio fu una grotta scavata nella roccia su cui siede Rometta. Esiste ancora questa grotta ed è chiamata di San Leone. Il Santo dovette lasciarla per le intemperanze di alcuni ragazzi e trovò rifugio in un'altra grotta nella vallata a tre miglia da Rometta. Questa vallata e la grotta sono care ai romettesi. Dopo la cacciata dei musulmani fu eretto un romitorio in cui i sacerdoti solevano trascorrere un periodo di ritiro annuale (Vito Amico, dizionario topografico della Sicilia, tradotto dal Di Marzo) . Nel 1534 il Papa Clemente VII con Bolla Pontificia che l'Arciprete Domenico Ardizzone (1712/1757) attesta in un manoscritto esistente nell'Archivio parrocchiale di Rometta di avere avuto visione, elevò la Grancia di San Leone in Abbazia, concedendo all'Abate Priore della comunità, che era l'Arciprete di Rometta, l'uso della mitra e dei Pontificali. La chiesa e la Grancia furono praticamente distrutte dal sisma del 1544 e furono ricostruite nel 1544 come risulta dalla data scolpita sull'architrave della parte Nord della Chiesa, ancora esistente. Il complesso dei fabbricati, nella guerra antispagnola subì devastazioni e fu riparato nel 1719 dall'arciprete Ardizzone a cui si deve la ripresa della vita del sacro cenobio. Nel 1819 col concordato tra il regno di Napoli ed il papa Pio Vi, Ferdinando I, tolse la Grancia al clero di Rometta, lasciando all'Arciprete il titolo di Priore ed Abate di San Leone, e la donò ai padri Cappuccini avvalendosi dell'art. 14 del Concordato. Con le leggi del Regno d'Italia vennero incamerati i beni della Grancia di San Leone. L'arciprete di Rometta, come rettore della chiese ebbe e continua ad averlo, un assegno di quattro onze, da parte del demanio dello Stato. Il terremoto del 1908 distrusse il convento e la chiesa. L'arciprete Antonio Barbaro fece costruire una chiesa-baracca che è stata rimossa e realizzata in muratura dal popolo romettese, per interessamento dell'arciprete Giuseppe Sardo. La festa tradizionale si celebra la prima domenica di maggio. Il popolo portando in processione il Quadro di San Leone che esce dalla chiesa Madre prima dell'alba, in pio pellegrinaggio, sale il monte Milia e poi, scende nella Vallata, venera la grotta e beve l'acqua miracolosa che il Santo ha fatto scaturire. Questa vallata e questa grotta sono il Palladio della città perché come dice nel Canto il suddetto illustre concittadino di venerata memoria «Qui si forgiò il civico costume/di nostra gente e prese qui vigore/ la Fede nostra e vinse con l'amore/ ogni avversa tormenta/l'eroica resistenza al saraceno/l'aiuto offerto al nobile Ruggero».

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